domenica 24 febbraio 2013

Lettera aperta a padre Alex Zanotelli dal Commercio Equo


E' una lettera che ci riguarda, un dibattito che aiuta il nostro impegno a restare dalla parte giusta. Buona lettura.


“L’Industria della Carità”: lettera aperta a padre Alex Zanotelli
Carissimo Alex,
come tanti abbiamo letto la tua prefazione al libro “L’industria della carità” di Valentina Furlanetto: le righe che dedichi al Commercio Equo e Solidale hanno suscitato  alcune riflessioni che vorremmo comunicarti e condividere con tutto il Movimento, in un momento in cui stiamo avviando un profondo dibattito interno su come rendere la nostra azione più incisiva e capace di comunicare al meglio i valori in cui crediamo, in un contesto certamente ed inevitabilmente mutato rispetto al passato. Come sempre le tue riflessioni suscitano dibattito ed interesse, ed è con questo spirito che vorremmo intervenire nella discussione. 
Tu definisci il Commercio Equo e solidale “Una perla preziosa”. E poi aggiungi “Eppure il nostro sistema è talmente scaltro che è capace di rendere questa perla funzionale al sistema. Oggi purtroppo tanto del commercio equo e solidale è diventato un altro business, perché il fine di tutto è vendere. Certo, permette ai contadini del Sud del mondo di fare qualche soldo in più, ma non è così che aiuteremo noi stessi e queste persone a capire l’iniquità delle regole del commercio internazionale. Ogni bottega dovrebbe diventare un luogo dove chi entra capisce dove e come è stato prodotto quel manufatto, perché lo paga un po’ di più, che cosa ci sta dietro. È questa la vera funzione del commercio equo e solidale. Invece una parte del Ces è diventata oggi business. Per cui dobbiamo costantemente vigilare su tutto quello che facciamo e sui mezzi che utilizziamo per aiutare i popoli impoveriti. Dobbiamo far sì che loro diventino i soggetti della loro liberazione. È interessante notare che oggi l’aiuto più grande che viene inviato ai paesi impoveriti non è il nostro,  ma il loro. Il vero aiuto sono le rimesse, il flusso di denaro che gli immigrati in Italia inviano alle famiglie, frutto del loro lavoro. La liberazione viene sempre dal basso, dai poveri, mai dai ricchi.” 
È importante, innanzitutto, evidenziare che alcune delle questioni che tu sollevi (e che vengono riprese nel capitolo dedicato al Commercio Equo e Solidale) sono da anni oggetto di confronto anche acceso all’interno del nostro Movimento. Ma, fortunatamente, i primi a svolgere un ruolo di tutela e perseveranza degli obiettivi ideali sono ancora oggi gran parte degli attori stessi del Fair Trade. In particolare, per richiamare la tua metafora, il Movimento italiano del Commercio Equo e Solidale non ha dimenticato di avere per le mani “una perla preziosa”. E non si è certo piegato al business nel senso prepotente o disumano del termine. Abbiamo cercato negli anni e con fatica, ma anche con grandi risultati, di creare un cambiamento dell’economia che partisse proprio dallo scambio paritario tra comunità di consumatori del Nord in rete con comunità di produttori del Sud. La nostra scommessa è stata quella di provare ― qui sta la difficoltà ― a coniugare ogni giorno l’attività economica con quella della sensibilizzazione, la vendita di prodotti con l’educazione, l’essere “commercianti” con l’essere “animatori”. Speriamo di essere riusciti a non dare solo una testimonianza ma ad incidere concretamente sui meccanismi economici, a volte sbagliando, a volte rischiando di sporcarci le mani o di apparire meno “puri” in termini ideali. 
L’impegno di migliaia di volontari che ogni giorno alzano le saracinesche delle Botteghe del mondo sta esattamente all’opposto della dimensione da te evocata (ricchi che aiutano i poveri, carità invece di giustizia). Ci sono al contrario persone che a latitudini e longitudini diverse cercano sinceramente di creare un dialogo paritario per un comune benessere futuro, che sia alla base di un modello economico più sostenibile. È vero: i produttori chiedono di vendere i loro prodotti a condizioni eque, così come le donne dei centri di Korogocho ti affidavano collane e bracciali perché tu cercassi di trovare per loro uno sbocco sui mercati del Nord. Ma questo non vuol dire, nel nostro modo di agire, dare origine all’ennesimo  business intercontinentale: per noi significa dare spazio a forme cooperative di produzione, rispettose del lavoro, attente all’ambiente e allo sviluppo sostenibile. Per essere chiari: non ci interessa produrre oligarchie di produttori benestanti in realtà sociali povere o attivare nuove forme di commercio per dare qualche soldo in più. Per noi Commercio Equo e Solidale è ancora sinonimo di dialogo e giustizia nel mercato, di stimolo non solo teorico ma tangibile per un ragionamento sul nostro stile di vita e sul modello economico complessivo. 
Il mondo del Commercio Equo e Solidale ― a livello nazionale ed internazionale ― è tuttavia complesso e variegato ed esistono tante realtà con comportamenti diversi, alcuni dei quali (se ne parla nel capitolo del libro) sono stati pubblicamente ed aspramente contestati dal Movimento italiano. Ma, caro Alex, stai sicuro che nelle nostre associazioni e cooperative ogni giorno si lavora perché i popoli impoveriti diventino i soggetti attivi della loro liberazione. Non eterodiretti, non allettati da qualche dollaro in più. 
Nel libro il Commercio Equo e Solidale è presentato solo ed esclusivamente come un fenomeno di certificazione di prodotto, aperto a tutti i soggetti dell’economia tradizionale. In Italia non si può tuttavia ignorare che si sia storicamente sviluppato soprattutto come una rete sociale di base: oggi la nostra Assemblea conta 90 Organizzazioni che tengono aperte 250 Botteghe del Mondo in 15 diverse Regioni, animate da 30mila soci, 5mila volontari e oltre mille lavoratori. Ogni anno la nostra rete trasferisce nel Sud del mondo a contadini ed artigiani non solo 13 milioni di euro in cambio di prodotti alimentari e artigianali pagati a prezzo equo, ma anche competenze, conoscenze, tecnologie. E il più delle volte riceve più di quello che dà. 
Un solo dato per dirti quanto noi cerchiamo di lavorare sul cosa ci sta dietro: complessivamente i nostri Soci in un anno hanno realizzato laboratori e attività nelle scuole italiane per 11.000 ore, con un investimento complessivo di un milione di euro. Questi sono soldi investiti proprio per aiutare una nuova generazione di consumatori a porsi il tema dell’iniquità delle regole nel commercio internazionale. Un commercio internazionale che, unito ad un sistema finanziario cinico e irresponsabile, ha portato i suoi danni anche tra i confini dei nostri ricchi paesi. La questione di un modello economico ingiusto adesso è avvertita da tutti. Ed in questo contesto segnaliamo come i temi una volta relegati al Sud del mondo e di cui parlavamo quando il Commercio Equo muoveva i primi passi, oggi tocchino anche chi fino ad ora non è stato particolarmente interessato a tali argomenti. 
Sappiamo bene che il nostro non è un obiettivo solo economico, ma politico e sociale. Però vogliamo provare ad uscire dalla nicchia dell’avanguardia per raggiungere ― con il nostro messaggio e con i prodotti che rappresentano realmente la vita dei nostri partner artigiani e contadini ― sempre più consumatori e sempre più produttori. Ma non a qualsiasi costo: in questi trent’anni, il Movimento ha saputo fermarsi, ritarare gli obiettivi e cambiare strada quando ha percepito che il business rischiava di ledere il messaggio e il senso profondo del proprio agire. 
Non siamo funzionali al sistema (ma chi non corre comunque questo rischio?), anche se vorremmo che il sistema funzionasse meglio e con nuove regole. Noi non abbasseremo la guardia e ti invitiamo a continuare a darci stimoli e suggerimenti in questa direzione, tenendo conto del confronto interno al Movimento del Fair Trade (di cui abbiamo provato a darti qualche spunto con questa lettera) e della nostra consapevolezza, mai nascosta o negata, dei problemi, delle contraddizioni e dei rischi che la nostra proposta di cambiamento comporta.
Roma 11 febbraio 2013
Il Consiglio Direttivo di AGICES (Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale) Alessandro Franceschini, Enrico Avitabile, David Cambioli, Giorgio Dal Fiume, Andrea Durante, Giampiero Girardi, Vittorio Leproux

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