domenica 10 aprile 2011

La pace, la guerra e il silenzio dei cattolici

Ancora, da Il Corriere Apuano del 9 aprile11, l'opinione del nostro amico Davide Tondani.

Nei primi giorni della guerra in Libia, in molti si sono interrogati sulla posizione dei credenti italiani circa l’intervento militare e sul silenzio dei “pacifisti cattolici”. Un’interessante risposta l’ha fornita Luca Diotallevi, sociologo ed eminente collaboratore della Conferenza Episcopale (è vicepresidente del Comitato scientifico-organizzatore delle Settimane sociali italiane), in un articolo apparso su Il Riformista del 29 marzo. Secondo Diotallevi, l’insegnamento magisteriale degli ultimi trent’ anni ha portato la maggioranza dei credenti aun nuovo modo di pensare la fede in relazione al tema della pace. Si tratta di un magistero, per Diotallevi, basato sulla tradizione cattolica liberale “patrimonio di pochi (cattolici) diventato patrimonio di molti (cattolici)”, rilanciata da Giovanni Paolo VI a partire dalla prima crisi del Golfo, quando sottolineò il ruolo della Chiesa ‘pacificatrice’ e non ‘pacifista’, poi ripresa nell’omelia del card. Ruini alle esequie delle vittime di Nassyria e nei recenti interventi del card. Bagnasco. Il tutto, sempre secondo Diotallevi,nel solco del magistero del Concilio Vaticano ll e di Paolo VI. E questo percorso, secondo la tesi del sociologo, che ha portato i cattolici da un pacifismo che “si manifestò con veemenza assumendo un molo da protagonista non solo nella Chiesa” ai tempi della crisi degli Euromissili (1981) a più miti richieste alle istituzioni “di garantire l’ordine pubblico globale” senza “superare determinati limiti”. Una svolta che ha spostato la riflessione dall’eticità di una guerra alle “domande giuste: con quali basi legali, con quali obiettivi, con quali mezzi” si interviene? Sono molti gli elementi discutibili di quell’articolo. Innanzi tutto, perché Diotallevi non cita nel magistero recente sulla pace la Pacem in Terris (1963) di Giovanni XXIII? «Riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia» (n. 67). Parole non più attuali? Rispetto alla Populorum Progressio (1967) di Paolo VI si passa invece dall’omissione ad un’interpretazione estensiva: “le parole a sostegno della lotta per la giustizia” attribuite a questa enciclica si riferivano non alla legittimità di un intervento militare esterno per abbattere un tiranno, come implicitamente sembra volere asserire Diotallevi, bensì alle insurrezioni interne, giustificate solo «nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese» (n. 31). E che dire del citato intervento di Giovanni Paolo 11 ai tempi della prima guerra del Golfo? Dei suoi interventi di allora, la grande maggioranza dei cattolici ricorda soprattutto, più che la distinzione pacifista/pacificatore, la denuncia della «guerra avventura senza ritorno» nel messaggio Urbi et orbi del Natale 1990 e, alla vigilia del secondo conflitto iracheno, l’esortazione, nell’Angelus del 16 marzo 2003: «ho ildovere di ricordare a tutti i più giovani, a tutti quelli che non hanno avuto questa esperienza, ho il dovere di dire: mai più la guerra». E' un peccato, inoltre, che si ometta di riconoscere quanto sono ancora oggi patrimonio vivo di tante generazioni di cattolici il don Primo Mazzolari del «tu non uccidere! », il don Lorenzo Milani della lettera ai cappellani militari, il vescovo Tonino Bello che incitava «in piedi, costruttori di pace!». Le parole d questi uomini di Dio hanno inciso tra cattolici molto più che l’ambiguo - lo si riconosca - «li fronteggeremo con tutto coraggio, l’energia e la determinazione di cui siamo capaci. Ma non li odieremo» del cardinal Ruini dopo Nassyria.  Il radicamento nel tessuto ecclesiale italiano di questi elementi omessi di Diotallevi è tale che quella che il sociologo giudica una “svolta” dei cattolici sulla pace sia piuttosto la “linea” dei vertici dell’episcopato: non a caso, l’articolo invece di comparire sulla stampa cattolica, è stato pubblicato su un quotidiano laico, con pochi lettori ma molto influente nei palazzi della politica. I tanti credenti e le comunità cristiane che anelano alla pace, e non certo sulla base di quelli che Diotallevi ingenerosamente definisce “moralismi più collusi che angelici’ (collusi con chi?), non si sono né estinti né hanno fatto “svolte”. In silenzio, sperano in un’educazione alla pace dal sapore di profezia, chiedendosi con Isaia «Sentinella, quanto resta della notte?».

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