lunedì 9 gennaio 2012

Sulla crisi di crescita del commercio equo

Dal 1 gennaio Fair Trade Usa è uscita da Fair Trade International, l’organizzazione che rappresenta il commercio equo di 25 paesi tra cui l'Italia. Con un giro d'affari di 1,8 miliardi di dollari gli americani costituiscono più di un terzo di questo mercato da 5.8 miliardi di dollari in continua espansione e che occupa un milione di lavoratori.
Il 2 gennaio Angelo Aquaro su Repubblica - "Equo solidale o multinazionale?" - racconta i perché della crisi. In sintesi gli americani vogliono spingere per il coinvolgimento sempre maggiore delle multinazionali e, abbassando anche la soglia degli ingredienti necessari per etichettare un prodotto "equo" dal 20 al 10 per cento, spingere verso un nuovo fair trade di massa. Dice Paul Rice, presidente di Fair Trade USA: "Vogliamo che resti un movimento piccolo e puro o vogliamo assicurare il commercio equo per tutti?».
Su questo la discussione è aperta anche in Fair Trade International.
Il 3 gennaio AGICES (Assemblea generale italiana del commercio equo e solidale, voce autorevole della World Fair Trade Organization la cui sezione europea è diretta dall'italiano Giorgio Dal Fiume) con un comunicato stampa sottolinea che "nel nostro paese AGICES non prevede particolari conseguenze e cambiamenti dovuti alla scelta americana: la situazione è tranquilla e i rapporti interni al movimento positivi" e che "la crescita del fair trade internazionale in questi anni di grande crisi dimostra che chi difende le attuali regole non lo fa in una logica di nicchia e che non occorre annacquare i criteri per diventare grandi – come tutti coloro che fanno parte del movimento vogliono. Il problema non è "multinazionali si/no" – ad oggi esse possono entrare a far parte del sistema – ma piuttosto "come" e secondo quali criteri."
Venerdì scorso è intervenuta anche la Associazione Botteghe del Mondo: "Precisiamo, su informazione di Giorgio Dal Fiume sulla "notizia" riportata da Repubblica il 2 Gennaio sul rapporto tra Commercio Equo e multinazionali e la nuova strategia di Fair Trade USA, che Fair Trade USA è un ente di certificazione di prodotti di commercio equo inseribili nei normali circuiti commerciali e che la notizia è stata pubblicamente annunciata il 15 Settembre 2011 ed ampiamente commentata da moltissimi attori del Fair Trade, in stragrande maggioranza tutti molto critici con la scelta di Fair Trade USA. In particolare tutte le organizzazioni Europee ed Italiane che sono intervenute sul tema si sono dichiarate non d'accordo con la scelta americana."
L'associazione Botteghe del Mondo ha pure promosso un sondaggio su Facebook sulla apertura alle multinazionali.
Su 120 risposte, 99 persone si sono dichiarate decisamente per il no.
"- 67 di loro pensano che si tratti di una operazione di greenwashing delle multinazionali. (greenwashing: operazione mistificatoria per distogliere l'attenzione da proprie responsabilità nei confronti dell'impatto ambientale negativo dato dall'azienda. Il concetto si può applicare anche al rispetto o meno dei diritti dei lavoratori. L'obiettivo sarebbe la copertura della mancanza di diritti da parte delle loro maestranze, che le aziende continuerebbero a perpetrare.)
- 19 persone credono che le multinazionali vogliano creare effettivamente una filiera etica ma con l'obiettivo del marketing di attrarre quella fetta del mercato che è sensibile all'argomento.
- 12 persone pensano che non convenga ai produttori, politicamente parlando.
Poi ci sono le risposte positive:
- 13 si, mantenendo le regole che il commercio equo si è dato per i prodotti alimentari (con almeno il 50% del costo franco trasformatore delle materie prime o il 50% del peso delle materie prime è di Commercio Equo e Solidale mentre negli USA la % di materia prima equosolidale potrebbe essere ridotta al 10%.)
2 voti esprimono approvazione solo se i criteri del commercio equo vengono adottati da tutta la filiera.
Conclude Botteghe del Mondo: "Sembra dai risultati che nessuno pensi che questa svolta sia una buona opportunità data ai produttori di allargare la loro agenda di clienti, includendovi alcune multinazionali. D'altronde non mi è ancora chiaro se le multinazionali si relazionerebbero con le organizzazioni di produttori equosolidali come fornitori o se applicherebbero criteri equosolidali nelle loro proprie filiere produttive, ammesso che ne abbiano di proprie e non siano tutte frutto di appalti. La prospettiva possibile, l'obiettivo futuro potrebbe essere far conoscere il commercio equo non prevalentemente attraverso la vendita dei prodotti ma attraverso l'azione politica per il rispetto dei diritti, l'educazione, l'informazione, la tutela del patrimonio del commercio equo."
Questo infine il commento della cooperativa Altraqualità:"riteniamo che parlare di “apertura” rischi di porre la questione nei termini sbagliati, ossia in una prospettiva secondo la quale “aprire” è bene (progressista, evolutivo, ec.) mentre “chiudere” è male (conservatore, estremista, ecc.). In realtà la questione è molto più complessa e non riducibile ad una semplice dicotomia bene – male".
In Italia sembra dunque prevalere la visione originaria con il pieno rispetto della carta dei principi del commercio equo e un articolo di Monica Di Sisto (autrice di "Un commercio più equo” il libro di Altreconomia che arriva proprio in questi giorni in libreria) su Altreconomia ne fa un ritratto rigoroso ed appassionato, riaffermando infine che “Il commercio equo e solidale, insomma, ha ancora un compito importante da svolgere nel cambiare il sistema dominante".
Pietro Raitano, direttore di Altreconomia, ci tiene a marcare "la differenza" del commercio equo solidale italiano: "Il movimento italiano è ben conscio delle tendenze rivolte a imitare le dinamiche “multinazionali”, ma è stato in grado di distinguersi perché si tratta innanzitutto di un movimento culturale, fatto di partecipazione e formazione. Le botteghe del commercio equo -solo per fare un esempio- sono impegnate sul territorio in eventi e campagne di sensibilizzazione, rivolte alla cittadinanza e alle scuole."
Le parole più chiare e determinate le scrive infine Alberto Zoratti su Altreconomia, sostenendo che le scelte di Fair Trade USA appaiono purtroppo contagiose se anche la Fairtrade Foundation inglese pensa di far diventare il commercio equo "mainstream", lavorando sulle quantità grazie all'ingresso di nuovi attori soprattutto privati.
Le conclusioni di Zoratti (dell'organizzazione equosolidale Fair) cui mi associo, sono che:
"Davanti a questa situazione, oramai da anni davanti agli occhi di tutti, pensare di ampliare i benefici (non solo i fatturati) del commercio equo con il mero ampliamento alle grandi corporation senza mettere in discussione il potere di mercato di queste ultime è pura utopia. Se non vera manipolazione. Il rischio è anzi il contrario, e cioè rafforzare la reputazione di imprese che per loro natura e struttura dei mercati non potranno fare altro che imporre le proprie politiche commerciali, che saranno tanto più sostenibili quanto più convenienti economicamente. Ed accettare politiche di liberalizzazione dei mercati, invece di una loro progressiva ri-regolamentazione, che andranno a sostenere i più forti sacrificando le comunità più piccole e la stabilità del pianeta. In Messico chiedono un forte ripensamento non solo al movimento statunitense, ma anche a quello mondiale. Forse sarebbe opportuno ricominciare a parlarne."
Mi associo alle parole di Zoratti. Credo che siamo di fronte ad una crisi di crescita, rischiosa ma anche suscettibile di un’uscita in positivo, con un rafforzamento della fiducia nei criteri di equità consolidati.  Perché non vogliamo sedurre consumatori ma arruolare consumatori critici e responsabili. Questa è la nostra sfida, che continua.

Angelo Aquaro, Equo solidale o multinazionale, Repubblica
Alberto Zoratti, Commercio equo per tutti.Forse. Altreconnomia
Monica di Sisto, Una storia corale, Altreconomia
L'intervento di AGICES
Il sondaggio Facebook di Botteghe del Mondo

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