venerdì 22 maggio 2009

Viaggio ad Ayazma

Ayazma: un campo profughi kurdo nel centro di Istanbul

L’ idea della mostra, inaugurata a Pontremoli il 17 aprile, alla presenza degli autori e dell'assessore alle Attività Produttive, Sociale, Sanità, Pace della Comunità Montana Stefano Traversi, e presentata da Paolo Zammori, è nata dal viaggio a Istanbul di alcuni soci di Farfalle in Cammino, che si occupa di turismo responsabile dal 2004.Ad Istanbul non sono solo moschee e bazar, c'è anche il quartiere Ayazina sconosciuto ai più. Nell'ottobre scorso arriviamo ad Ayazma accompagnati da Lerzan (membro dell'associazione per i profughi kurdi Goc Der). La visione è quella di una vasta distesa di macerie, un campo profughi-bidonville nato nel 1977 dalla immigrazione interna del popolo kurdo dall'Anatolia Sud-Orientale, a seguito dell'intervento militare turco che ha previsto l'evacuazione e la distruzione di circa 4500 villaggi, la disseminazione di mine intorno ad essi, l'uccisione di circa 37.000 Kurdi e la migrazione forzata di circa 3 milioni di persone, costrette a rifugiarsi nelle periferie degradate delle grandi città turche, tra cui Istanbul. Lerzan ci racconta che prima c'erano migliaia di baracche, fogne a cielo aperto, ma anche case in muratura abitate dai profughi, e un centro sanitario costruito dall'associazione Goc Der. Rimangono solo poche baracche abitate; una legge promulgata dal governo turco prevede l'eliminazione delle baraccopoli per abbellire la città e per far spazio a moderne strutture sportive, quartieri residenziali e costruzioni avveniristiche, come lo stadio internazionale Ataturk sulla collina alle nostre spalle. Ci inoltriamo tra le macerie e i pochi muri superstiti di questo "quartiere" e tra i bambini che giocano a pallone, una donna ci invita ad entrare nella sua abitazione, modesta ma accogliente dove sono altre due donne e alcuni ragazzini. Nell'attesa che l'acqua sia pronta per il çay (tè in lingua turca), Lerzan chiede alle donne (gli uomini sono al lavoro) notizie sulla situazione del campo. Il governo ha offerto la possibilità di acquistare piccoli appartamenti, ma molto costosi e in enormi grattacieli di acciaio e cemento (costruiti con finanziamenti di Ue e Banca Mondiale). Per un popolo che ha sempre vissuto di pastorizia e agricoltura, andare a vivere in un grattacielo significa vedere spersonalizzata la propria cultura e, anche a causa delle problematiche legate alla lingua, (il kurdo è una lingua appartenente ad un ceppo linguistico completamente differente da quello turco e per questo sono pochi i Kurdi che sanno parlare bene il Turco), è quasi impossibile per un Kurdo trovare occupazione. Imbarazzati da un'accoglienza regale, che non sappiamo come ricambiare, ringraziamo portando in noi la gioia vista negli occhi per la nostra visita e per il nostro interessamento. Facciamo pochi passi e veniamo invitati da un'altra famiglia. Altro çay, altre storie da ascoltare. Ci sediamo in "veranda”, in realtà un pezzo di cemento esterno alla casa con divanetto. Qui c'è anche il padre di famiglia, attualmente disoccupato. Ci racconta che a volte, all'alba, la polizia fa irruzione nel campo minacciando pestaggi, altre volte dalle minacce passa ai fatti. E lo fa sotto gli occhi dei bambini. Una mattina ad un bambino che cercava di difendere il padre è stato strappato un orecchio. Osserviamo gli occhi preoccupati dei bambini, ne seguiamo lo sguardo e notiamo due poliziotti in moto. Rallentano, ci osservano da lontano e se ne vanno. Sulla collina c'è l'imponente stadio Ataturk; durante le partite di calcio il campo di Ayazma viene "oscurato" per evitare che si veda nelle riprese televisive. I bambini a scuola sono costretti a ripetere, tutte le mattine: “Io sono turco, sono intelligente, Ataturk è il più grande, rispetto il mio paese e sono felice di essere Turco". Allibiti da questi racconti, chiediamo "Cosa possiamo fare?”. La risposta è: "Fatelo sapere a quanta più gente possibile".
Con la mostra fotografica "Nasname" di Marika Puicher e Massimo Paolone e la proiezione di "Ayazma, ghetto kurdo nel cuore di Istanbur” realizzato da Matteo,Pasi e Marcello Dapporto, abbiamo cercato di mantenere la promessa. Nasname significa in kurdo identità, invece il governo turco non cerca di integrare la minoranza kurda, ma di distruggerne l'identità culturale, violando i più elementari diritti umani. Ci auguriamo che, a seguito delle recenti elezioni amministrative con la vittoria in molti comuni del Kurdistan del partito filokurdo DTP, la situazione vada migliorando. Ho avuto l'onore e il piacere di festeggiare la vittoria elettorale a Vari insieme a migliaia di Kurdi e, soprattutto nello sguardo fiero e felice delle donne, ho visto possibilità dì cambiamento vero. Per approfondire la storia dei profughi kurdi consigliamo "La terra del silenzio", Infinito Edizioni, una ricerca svolta su 2.000 famiglie kurde "emigrate" dalle loro terre, ( il libro è in vendita presso la Bottega Arcobaleno in Via Garibaldi 31 a Pontremoli). Mentre sul sito www.farfalleincammino.org stiamo allestendo una sezione interamente dedicata al Kurdistan con foto, racconti e notizie. (Simona Ferrari, da Il Corriere Apuano 23 maggio 2009)

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